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Igt Basilicata – Fiano – Carbone 2009

Un Fiano per davvero diverso, disegnato su una crosta nuova e ruvida, con tratto deciso, profondo, riconoscibile, unico. Un naso scorbutico ma ipnotico, una bocca complessa, rotonda ma poggiata su spigoli vivi, quelli che quando ci sbatti ti lasciano il segno. Una bottiglia che mi piace. Tanto.
Conosco Sara Carbone (purtroppo non il fratello Luca), il suo parlare, la passione ragionata che ha di comunicare i suoi vini, con quel suo modo gentile e fermissimo, personale ed originale. Sara, lucana dalla testa ai piedi ma ormai veneta friulana d’adozione, è un esempio raro e perfetto del risultato sintetico tra le tesi del nord e le antitesi del sud di questo paesino dello stivaletto.
Giallo lucente, vivo, intenso, con venature sorprendentemente bronzee, traspare una densità affascinante, quasi fosse un velo che non c’è. Chi pensa che il vedo-non-vedo sia molto più erotico del nudo integrale, troverà in questo colore ampia soddisfazione. Lacrime calme e sparse, ma sono lacrime di gioia.
Il naso è un insieme di difficoltà, bellissime difficoltà. Da subito, un senso di inaspettata dolcezza fine (questo bicchiere non fa legno di certo), poi il pane secco e vecchio, poi la mandorla, dolce, amara, profonda, poi la nocciola, poi la pesca, ma quella asciutta, che profuma ancora poco e poi quel senso di aria calda e minerale, perchè forse sei condizionato dal Vulture, ma quel profumo, quel mantello nero e ferroso, si sente. Questo naso è bellissimo perchè riesce a distinguere, questo naso divide. O piace o non piace. Questa è personalità.
La bocca è originalità, è entusiasmo. Descrivere una sensazione è sempre impresa difficile, raccontare il Fiano dei Carbone un po’ di più. Ci provo così: sotto il sole di un luglio lucano, stendete sopra un tavolo una tovaglia fatta di acidità misurata ma sempre ben tesa, colorata da una cavalleria alcolica di buona razza. Sopra la tavola buttate manciate di cubetti piccoli e spigolosissimi di canditi al limone, cedro e arancia. Senza zucchero.
Questo è il Fiano dei Carbone, una bottiglia che mi piace. Tanto.Voto_8.6

DOC Aglianico del V. – Don Anselmo – Paternoster 2001

Eccoci davanti ad una bottiglia importante, certamente una delle migliori espressioni di un vitigno del profondo, sottovalutato, schiaffeggiato sud, di una terra splendida quanto non valorizzata come è la Basilicata o la Lucania, come meglio credete; eccoci davanti al Signor Aglianico del Vulture.
Paternoster è ormai una realtà vitivinicola importante ed affermata, ha puntato tutto, da subito e da sempre, sul grande Aglianico, che là, sull’asse Melfi – Rionero trova davvero il suo terreno di elezione, elevazione e straordianaria resa qualitativa.
Il mio esemplare è un formidabile 2001.
Nonostante fama, gloria e un po di studio, ammetto una certa preoccupazione per i 9 annetti che il Don si porta dietro … beh, che bello essere tranquillizzati già all’atto della stappatura!
Giù nel bicchiere e … “quando ingorga gli anfratti si ritira e risale e il lenzuolo si gonfia sul cavo dell’onda e la lotta si fa scivolosa e profonda“, mai citazione faberiana fu così azzeccata. Un trionfo di consistenza estratta risale sul bicchiere, 9 anni e non sentirli … Anselmo, questa volta, lo deve sapere! Un cupissimo rubino impenetrabile e lucente, unghia che rivela i suoi granati annetti, è un colore che mi emoziona.
Avvicino naso, occhi, guancie e faccia al bicchiere .. ho davvero la voglia di affondare in quella corposità scura, in barba, baffi e capelli ad ogni buona regola del bravo e saccente degustatore.
Che bello. Come vorrei potervi davvero rendere partecipi del solido e robusto godimento che si prova ad ascoltare con il naso questo bicchiere. Complesso? Neanche basta per i primi 3 secondi. Ampio? Riduttivo. Con seri problemi di infinità olfattiva … ecco, questo potrebbe soddisfarmi! 😉
Tutto quello che si può volere da questo forzuto del Vulture, dai suoi passaggi in grandi botti e poi più piccole, dalla sua forte natura tanninica che, in bottiglia, non ha mai smesso, in questi anni, di “sburlare” (uso un gergo localsalsese, perchè rende meglio l’azione dello spingere per farsi largo, ma anche per sopravvivere …), qua lo troviamo: confetture, frutti neri, fiori passiti, spezie in quantità (e qualità) imbarazzanti, minerale ferroso, ….
In bocca è sorprendentemente elegante e fine, quasi netto rispetto al naso. E caldo, saggiamente equilibrato, un po difficile, molto affascinante.
Un vino emozionante.


Voto_8.2