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Igt Emilia – Querciole – Ca’ de Noci 2010

Svuotare le bottiglie dei fratelli Masini è sempre una piccola soddisfazione. Perchè sono bottiglie che stupiscono, che piacciono, che danno sempre modo di allestire un racconto, di tessere una storia. Le querciole ad esempio: spergola in purezza, 3 giorni sul bucciame, un sobbolire di lieviti e fermenti in bottiglia che è una meraviglia.

Il colore è stracarico, giallo luccicante, possente. Naso esageratamente bio, zolfoso, esplosivo, esuberante di erbe mediche, officinali, profumi semplicemente complessi, di estratti, di freschezze. Naso difficile, a tratti sporco, da spiegare, da capire, da aspettare. Ma, a mio avviso, piacevolissimo, ricco, interessante, sorprendente.

In bocca è una sorpresa di pulizia acida, di scalciante freschezza profumata di campi. Una bevibilità esagerata, a tratti inquietante, fa svuotare i bicchieri con avida velocità. Bellissimo il finale amaro, fruttoso, schietto di pompelmo e arancia. Bicchiere impressionante.

Voto_8.2

Besmèin Capolegh – Le Barbaterre 2010

Il Marzemino in Emilia c’è sempre stato, spesso usato per arrotondare il lambrusco. La cosa un poco mi ha sorpreso, lo ammetto, ero convinto fosse autoctonomamente super_nordico: trentino, veneto, lombardo dei laghi, al limite friulano. Trovarlo quaggiù, nelle Terre Matildiche, è comunque divertente, soprattutto se lo si incontra vinificato “in bianco”, in purezza, rifermentato in bottiglia. Erica Tagliavini me l’ha detto subito: “ci abbiamo provato”. E ci sono riusciti, aggiungo io. Perché questa è una bottiglia che quadra, territorio e sperimentazione, recupero e novità, idee aggrappate alla vigna insomma.

Il colore è bello, un rosa intenso e brillante, reso ancora più luminoso grazie alla schiuma soffice e tanta, cremosa, neanche troppo rapida a dissolversi. Naso spettacolare, freschissimo e fragrante: come essere buttati in mezzo ad un campo fiorito, in pieno maggio, a patto di non essere allergici, sia chiaro. Bellissimi i mazzetti profumati, anzi odorosi ed intensi, che esplodono come le bolle, uno dopo l’altro. E poi quella ciliegia così lucida, chiara, non dolcissima. Semplice e ricco, incantevole.

In bocca la bevibilità è imbarazzante: tra le bolle, i tannini sopravvissuti in quantità, gli spicchi acidi tipici del Marzemino, il sorso va giù che è un fulmine, contrastato blandamente dalla mineralità salata che i lieviti vagabondi lasciano in eredità.

Un bicchiere che nella sua brillante semplicità mi è piaciuto tanto, una bella idea.

Voto_7.4

Doc Colli Piacentini – Ortrugo – Cordani 2010

“Lasciato fermentare sulle bucce” recita la retroetichetta. E questo mi piace tanto. Si, perché l’Ortrugo lo conosco, lo bevono alle mie spalle, 2 vallate più in là, tra i Colli Piacentini, verdi e sottovalutati.
L’Ortrugo non è un vino che definiresti impegnativo, con quelle note lievi e fragranti, bevibilità a secchiate …  e a culo tutto il resto (cit. gucciniana).
Marco Cordani però la pensa diversamente e vuole regalare più spessore e struttura a questo vino, così lo fa fermentare sulle bucce, per poter estrarre di tutto e di più da quest’uva strana, quasi (non semi) aromatica.
Il colore è bello, affascinante, velato di sostanza. Giallo birroso, stile Pale Ale, ma con delle venature metallizate mica da scherzare. La bolla è tanta e cicciuta, la schiuma fitta, il tutto però scompare con una velocità sorprendente.
I profumi sono intensi, non facili. Tanto fresco e verde, fiori vivissimi, fragranti, e poi note più cupe, lunghe, come di un frutto giallo già troppo maturo ma che, nel complesso, arricchiscono il naso di questo bicchiere, lo bilanciano.
In bocca è davvero piacevole, fresco e centrato all’attacco, punta subito al sodo, pungendo con garbo la lingua. Salino al punto giusto, intriga per per una nota amara e masticabilissima, pompelmo e frutta. Bel bicchiere, senz’altro.Voto_7.8

Igt Emilia – Sottobosco – Ca’ de Noci 2008

Un lambrusco che non è esattamente il lambrusco.
Complesso di frutta, salvia e fieno, terriccio, con scarsa vinosità, una fragranza vaga, la spuma compatta, solida, che scompare con lentezza. Ordunque, è lambrusco codesto? I cattivi direbbero “no, questo è un vino” ridacchiando sotto i baffoni, la realtà è che il Sottobosco è uno di quei lambruschi che il puntofermo Stefano Caffarri ascrive tra i protagonisti dell’era dei non lambruschi, ovvero della resurrezione degli stessi.
Il vino dei fratelli Masini è tutto questo, una bellissima e piacevolissima interpretazione di un vino certamemente e fieramente territoriale. Grasparossa, montericco, malbo e sgavetta (scelte originali e non poco), tutto in bottiglia a rifermentare, vigne bio.
Il colore è un porporone scuro che occhieggia fiero alle tonalità delle pietre che costano care. La spuma è bella, un blocco che si ritira uniforme con tutta la calma di chi sa che può farsi attendere.
Il naso è davvero diverso da quello del lambrusco che ci si aspetta: la frutta rossa è impattante, con le more in polpa, e poi erbe sofisticate, quasi officinali, intriganti. La nota della salvia verdona, poi, è gratificante. Il sottofondo è terriccio boscoso … ops … sottobosco? Complesso ma agilissimo, da tornarci mille volte con il nasone.
In bocca è piacevole nella sua secchezza schietta ma mai troppo ruvida, tannini a scalare, in ingresso presenti, veloci nel nascondersi per poi ritornare vispi sul finale. La frutta e la nota polverosa emergono in un finale di durata infinita se pensiamo che, volenti o nolenti, si tratta di lambrusco. Un grande lambrusco.

Voto_7.8

IGT Rosso dell’Emilia – Moro del Moro – Rinaldini 2004

Bottigliona mica da poco questa, da quel di S. Ilario d’Enza, già terra reggiana. Poi dicono che da queste parti sanno fare solo il lambrusco. In effetti il blendone, fatto davvero perbene da Rinaldini, di cultura lambruschista ne ha da vendere: il pinot noir si incastra con ancellotta e pjcol ross (il peduncolo rosso di reggiana stirpe). Si raccoglie tardi e poi si fa sovrammaturare in fruttaio. Insomma, già il progetto enologico affascina e merita tanta stima.
Il risultato è certamente sorprendente. Carattere da vendere, tanto da obbligarmi, un pò confuso, a sfoderare un decanterino per un passaggio veloce perchè al naso, inizialmente, la botta è stata forte e poco rassicurante. Lo so, lo so, il bellissimo quanto difficilissimo-da-pulire oggetto in questione non si usa per questi biechi scopi ossigenativi ma … per me è come la coperta di Linus, la mia Animula vagula blandula (cit. di cit.) necessita, e spesso, di rassicurazioni.
Operata la blasfemia, i conti mi sono tornati subito. Colore davvero bello, un rubino cupissimo, fitto, estrattissimo, bordo che si fa corallo antico, consistenza concreta che abbraccia il vetro disegnando belle coreografie. Il naso è davvero un’esplosione di confetture scure e polpose: prugna su tutto, il fico maturo, il lampone conservato. Poi l’autunno: fogliame, radici, chiodini, l’umido buono. Poi la drogheria: pepe scuro, cannella, una noce profumata. Poi lo spirito: ciliegioni neri neri alcolizzati, di quelli in barattolo, che mangi uno dopo l’altro e che ti piegano, inesorabilmente, le ginocchia. Insomma, un naso che definire strepitoso è poca roba.
Il sorso è bello panciuto, meno alcolico e fruttoso di quanto mi sarei aspettato. Anzi, si muove con una certa eleganza, la bevibilità è più che sufficente considerato tutto l’estratto che si porta dietro, tannini ingentiliti, freschezza che tiene ancora, senza far presagire però, evoluzioni roccambolesche. Gran bel vino. 
Voto_8.5