Bottigliona mica da poco questa, da quel di S. Ilario d’Enza, già terra reggiana. Poi dicono che da queste parti sanno fare solo il lambrusco. In effetti il blendone, fatto davvero perbene da Rinaldini, di cultura lambruschista ne ha da vendere: il pinot noir si incastra con ancellotta e pjcol ross (il peduncolo rosso di reggiana stirpe). Si raccoglie tardi e poi si fa sovrammaturare in fruttaio. Insomma, già il progetto enologico affascina e merita tanta stima.
Il risultato è certamente sorprendente. Carattere da vendere, tanto da obbligarmi, un pò confuso, a sfoderare un decanterino per un passaggio veloce perchè al naso, inizialmente, la botta è stata forte e poco rassicurante. Lo so, lo so, il bellissimo quanto difficilissimo-da-pulire oggetto in questione non si usa per questi biechi scopi ossigenativi ma … per me è come la coperta di Linus, la mia Animula vagula blandula (cit. di cit.) necessita, e spesso, di rassicurazioni.
Operata la blasfemia, i conti mi sono tornati subito. Colore davvero bello, un rubino cupissimo, fitto, estrattissimo, bordo che si fa corallo antico, consistenza concreta che abbraccia il vetro disegnando belle coreografie. Il naso è davvero un’esplosione di confetture scure e polpose: prugna su tutto, il fico maturo, il lampone conservato. Poi l’autunno: fogliame, radici, chiodini, l’umido buono. Poi la drogheria: pepe scuro, cannella, una noce profumata. Poi lo spirito: ciliegioni neri neri alcolizzati, di quelli in barattolo, che mangi uno dopo l’altro e che ti piegano, inesorabilmente, le ginocchia. Insomma, un naso che definire strepitoso è poca roba.
Il sorso è bello panciuto, meno alcolico e fruttoso di quanto mi sarei aspettato. Anzi, si muove con una certa eleganza, la bevibilità è più che sufficente considerato tutto l’estratto che si porta dietro, tannini ingentiliti, freschezza che tiene ancora, senza far presagire però, evoluzioni roccambolesche. Gran bel vino.
Voto_8.5