Perché semplice è l’amore e le semplici cose se le divora il tempo.
Esistono momenti spesso distanti tra loro, che si assomigliano tanto, tantissimo. Sono quei momenti in cui pare nitido il giusto, chiaro l’errore, brillante il bianco e opaco il nero. Insomma, quei momenti di lucida razionalità, d’improvvisa e periodica giustezza che ti portano a comprendere meglio. Poi normalmente li dimentichi, quei momenti. Più raramente li cogli, li afferri, quei momenti. Uno di quei momenti, quelli che si colgono, si è composto, quasi per magica stanchezza, mentre ascoltavo Vinicio cantare ancora una volta la poesia di Gomez, divenuta milonga rebetika, corda e stringa che fanno vibrare tutto, ma davvero tutto.
Erano giorni di riflessioni svelte, le peggiori: il tempo per scrivere su questo diario si è esaurito, pensavo, ho altro e più denso luogo dove sfogare i miei racconti e poi il lavoro, quello vero, merita ancora più attenzione del solito perché nuove vecchie cose si stanno affacciando, incerte ma presenti.
Ma poi, ascolti Vinicio che s’offre, come solo lui sa soffrire, con parole soffiate: uno si separa, insensibilmente, dalle piccole cose. E l’istantanea è scattata, l’otturatore è otturato, quello che pensavi, con fervida convinzione, già scompare.
Allora è deciso, se pur diversamente, se pur inconstantemente, di continuare a popolare di macchie le pagine bianche, anche perché uno torna sempre, al suo vecchio posto. Come le semplici cose.