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La merenda

Troppo cerebrale per capire che si può star bene senza complicare il pane (s.b.)

Questa cosa che accade è semplice, si potrebbe chiamare vita. Vabbè, facile scrivere vita, sviolinare di cieli azzurri, mare, ritorni, odori, sogni che diventano realtà, ecc, ecc.

Invece no.

Invece è tutto molto di più: è la grandezza dei dubbi e delle fatiche, la profonda paura di sentirsi costantemente piccoli, insicuri, inadatti. E poi la responsabilità verso Lei, verso gli altri, la novità, pensieri che guardano il mare mentre vorrebbero solo sotterrarsi sotto la sabbia, l’esercizio costante dell’umiltà, non quella predicata, ma quella obbligata, giusta, necessaria. Dentro tutto questo le cose scorrono, accese, colorate, limpide. Così capita di chiedere a quella persona che ti ha voluto dare un’opportunità, che ti ha voluto a fianco per condividere più di un semplice lavoro, se mai avesse pensato di fare quello che sa fare da altre parti, in altri luoghi, con altre piante. E ricevi per risposta solamente uno scarso e immediato sorriso e, dopo pochi giorni, una visita improvvisa. E una bottiglia.

“Cos’è?” “Cagnulari” “L’hai fatto tu?” “Porta due bicchieri” “Allora facciamo merenda”

Taglio il miglior pecorino che ho in casa, un fiore sardo di Gavoi, stagionato tanto, umido, potentissimo, porto un carasau da battaglia piuttosto afflitto e apro la confettura di Pompia (fatta da Angela Coronas, di Siniscola, bravissima). Si stappa questa boccia di Virdis, un Cagnulari di Usini in purezza, anno 2006, cemento e bottiglia. Una emozione, grande, come non ne sentivo da anni. Uno stordimento dolcissimo, uno schiaffo rumoroso fatto di terra e macchia, una grandezza nitida, un’eleganza sfacciata. Gli occhi brillano. Un Cagnulari come lo ricordavo da bambino, tra i piatti profumati di alloro che la domenica mattina ascoltavo a Uri da Mattia, la vecchia amica di una vita di mia nonna. Un Cagnulari denso, dolce, caldo, acido, un Cagnulari che è un grande vino. Bottiglia unica che ancora di più, se possibile, mi convince di quanto sia riduttivo, sintetico, inutile descrivere il vino con profumi, odori, ricordanze, sentori. Questo Cagnulari non posso permettermi di ricrearlo con le parole, voglio solo raccontare che l’ho bevuto. Col pecorino, con la confettura di Pompia che sapeva di limone, menta e salvia, con il carasau flaccido e con un sorriso che ancora non si leva.

Un privilegio, un amico che sa fare il vino, una merenda. Vabbè, facile scrivere vita.