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Docg Asolo Prosecco – Colfòndo – Bele Casel

 

Parlare serenamente di Luca Ferraro, della sua famiglia, Danilo e Paola su tutti, non mi è semplice. Perciò non lo farò, non sarò sereno, neppure giudizievole, figuriamoci oggettivo. Chi legge dovrà inevitabilmente fidarsi di quello che sento e che scrivo, in opposizione a quella deriva a mio avviso “pericolosa”, che vuole rendere il mondo del vino bloggato una sorta di camera sterile, come se l’assenza di microbi emozionali e personali fosse sinonimo di vera sanità, di purezza, di professionale oggettività.

E allora parlo di questo ragazzo troppo alto e dinoccolato, con un insopportabile accento trevigiano e mani grandissime, e della sua voglia di coinvolgere, di fare il vignaiolo con i piedi nella terra, le braccia nei tralci e le dita su qualche tastiera. Fantastico il primo incontro con Danilo, il padre, l’ultimo giorno di qualche Vinitaly fa: “Luca non c’è, è a sciabolare da qualche parte, lasciamolo divertire daiii”, non lo conoscevo, ma avevo dei sospetti. Fondati.

Bele Casel produce prosecco e merlot. E poi il Colfòndo. Ho deciso di parlarne solo ora perchè finalmente, di rifermentazioni prosecchiste in bottiglia, di splendidi produttori che sono tornati a vinificare anche senza Martinotti, se ne trovano alcuni e si sono affinati, migliorati, i vini ora hanno caratteristiche molto personali, spinte, riconoscibili, entusiasmanti. Ma il Colfòndo di Luca, quel vino a cui il Caf ha poggiato l’accento sull’ombelico, rimane il mio primo amore fondista, il vino che, prima degli altri, mi ha fatto fare pace con il Prosecco e con la sua latitante e persistente dolcezza.

Vino facile e difficile, ormai, alla 15ma bottiglia scolata (non consecutiva) l’ho imparato. Si beve fermo o scosso, nel senso che fisicamente devi capitombolare la boccia, per dare quel colore torbido e succoso, quel giallo dalla criniera schiumosa, appesantito di freschezza, per restituire alla bottiglia intera quel fondo che ne è il “condensato d’anima“. Io lo capitombolo sempre, ovviamente. Il Colfòndo è mutevole, come chi lo produce, forse di più. Lo puoi trovare che si arrampica in mountain bike sopra colline di mandorli in fiore, oppure a scorticare pere granulose sotto il sole con un cappello di paglia in testa, ma se lo lasci in pace, lo aspetti quell’attimo, la frutta diventa succo, l’agrume appare d’incanto ed è quasi elegante, come in un completogrigiocamiciabiancacravattascura, anche se si capisce lontano 100 metri che non è il vestito con cui si sente davvero a suo agio. In bocca sono spallate, ondate di freschezza sempre nuova, potresti berne cisterne, aiutato dalla sparuta cavalleria alcolometrica e dalla presenza di quei piccoli cristalli di gesso e di sale che si poggiano saldi sopra la lingua, in tondo, come ad aspettare il prossimo, inevitabile sorso.

Un bicchiere irrinunciabile, come un sorriso timido ma certo di Paola, una battuta tagliente di Danilo, una stretta di mano di Luca.

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