VdT de France – Planquette – Didier Michaud s.a. (2003)
Due ettari di vigna, attorno a casa, sono il regno di Didier Michaud, vigneron di una delle maggiori zone mondiali dell’industria del vino: Bordeaux. Là dove esistono colossi da 400.000 bottiglie all’anno, vendute a prezzi esorbitanti en primeur, e tenute da oltre 100 ettari vitati, ci sono anche piccole realtà, cocciutamente attaccate a quei fazzoletti di terra, ereditati da generazioni, che varrebbero un patrimonio, se venduti ai grandi gruppi padroni dell’estuario della Gironda. Lui, Didier, e la moglie Catherine, si ostinano a produrre piccole quantità di vino in modo naturale, secondo i dettami dell’agricoltura biologica, andando ancora controcorrente. Il vino, l’unico, come vuole la tradizione, sosta a lungo nelle piccole botti di rovere, rigorosamente francese. Il tempo di sosta non è prefissato, Didier assaggia e dicide il momento dell’imbottigliamento, quando sente che il vino è pronto, normalmente dopo 18-20 mesi, ma capita, come nel 2003, che la sosta si sia prolungata sino a quasi 30 mesi. “Mi raccomando, aprilo almeno 2 ore prima e versalo nel decanter, ha bisogno di ossigenarsi” mi disse, e così ho fatto. Versandolo nel bicchiere colpisce il riflesso brillante di luce rubino, un rubino profondissimo, sanguigno, con riflessi porpora, quasi fosse un lambruscone reggiano. Scivola lentamente nel bicchiere, lasciando le pareti colorate, e gli archetti si fanno attendere per poi scendere fittissimi, lentamente, a più riprese. Al naso ecco quella ciliegia matura e sotto spirito, che ricorda molto la Valpollicella, e le note eteree, unite al cioccolato che fondendosi, portano all’inconfondibile profumo dei boeri. Poi, a seguire, note balsamiche, caffè, speziature dolci e piccanti. Il sorso è consistente, debordante, ma sorprendentemente fresco ed invitante. I tannini sono setosi e fittissimi, di grande qualità. La persistenza ricorda il lento scivolare del vino sul bicchiere, colorata come lui, da quei profumi già trovati in precedenza. Il richiamo và dritto ad un assaggio recente, ben fisso nella memoria, un ottimo Amarone di Michele Castellani, proprio annata 2003. Le differenze sono poche, forse qualcosa sulla morbidezza, a favore dell’ultimo, ma mi sbilancerei nel dire che il vino di Didier sarà più longevo perchè decisamente fresco. E pensare che ha dovuto stampare un’etichetta apposita, visto che le ristrettezze del disciplinare e gli ispettori dell’INAO, non gli hanno consentito di utilizzare il nome Chateau Planquette e la denominazione Medoc, forse per via di quel 15% di alcol che da noi è ormai all’ordine del giorno. Ma, con i 13 euro che ho speso, in Valpollicella ci compravo un Ripasso mediocre, Didier mi ha regalato un autentico “Amarone” del Medoc.
Daniele è un amico, una Umana Enciclopedia Enologica d’Oltralpe, un sommelier. Lo ringrazio per aver messo nero su bianco per me, uno dei suoi tanti, forse troppi, assaggi.