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AOC Pouilly-Fumé – Pouilly-Fumé Vintage – Chateau de Tracy 2007

Ecco qua, i cuginacci, guarda che ti fanno: con disinvoltura ti piazzano questo base che è semplicemente geniale. E dire che a me il sovignone bianco non è che mi faccia scorticare le mani e le papille, però … questa bottiglia è il mio però.

Spettacolare il color ghiaccio paglierino, sfavillante come i cristalli che costano in maniera poco ragionevole, almeno che tu non sia un allegro cowboy texano con il tuo bel pozzo di greggio nel giardino. Il problema di questo colore è la brillantezza: tagliente, quasi imbarazzante. Luce di nettezza sorprendente e delicata.

Il naso è l’esplosione di fiori e bucce scorzate che t’aspetti, la foglia del ramato pomodoro. Banale? Per niente, le sfumature di algida eleganza cominciano a fare la differenza a questo livello.In bocca è di pienezza consistente e ficcante, pulisce e incide, carbura brillante in mezzo alle papille, non scivola, rimane.

Bicchiere bello, complesso nella sua semplice eleganza. Una lezione da imparare.

Voto_8.2

AOC Alsace Gewurztraminer Vendanges Tardives – Joseph Cattin 2003

Più che tardiva sembrerebbe dimenticata. Inoltre l’alsaziana parrebbe portare sulle spalle strette strette qualche annetto non trascurabile. Eppure un certo fascino trasuda già da quell’etichetta così retrò e bruttina. Ed in effetti trasuda eccome, e non solo fascino.
Il bicchiere è un topazio giallo dal taglio importante, uno di quelli che cominciano per Van de qualcosa e finiscono che “devi essere arcimiliardario, grazie e arrivederci”. Un giallo che brilla scuro, un liquido esteticamente appagante, meritovole di infinite e noiosissime giravolte nel bicchiere per poterne godere appieno e ancora. Spettacolare.
Naso potente e opulento, anche troppo. I profumi dolci e dolciastri che devono esserci, ci sono tutti. Mi aspettavo qualche nota di contrasto più spiccata, magari verde, fogliosa, invece niente. “Solo” datteri e disidratazione di frutti preziosi e gialli, una leggerissima tostatura di nocciola, miele di mille, anzi, diecimilafiori. Con maturità (insospettabile), mi soffermo sulla grandezza di questo naso. La potenza dell’espressione dolce, la capacità di regalare diverse tonalità di un’unica sensazione. Formidabile e difficile. Forse troppo.
In bocca si tende ed allunga, mai spigoloso (peccato!), sempre rotondo, smussato, con la confettura d’albicocca che si riscalda nell’alcol forzuto ma garbato. Bello il finale un poco ruvido, quasi fosse polvere. Dolce, ovviamente.Voto_8.4

Aoc Champagne – Réserve Brut Autréau-Lasnot s.a.

Rue de Champagne, Venteuil. Sotto Reims c’è tanta, tanta roba. Non ci sono mai stato, è uno di quei viaggi che si faranno, quelli che tieni li, perchè sai che in fondo non è così complicato, che ci puoi andare “quando vuoi”, ed invece rimane lì, tra un portafoglio che piange e la tentazione golosa di qualche last minute più esotico ed economico.
Per fortuna c’è il vino che viaggia, almeno lui.
Champagne dicevo, una cuvée di quelle straclassiche per davvero, dove il Mugnaio (inteso come pinot) c’è eccome. Sboccato nel 2010, l’etichetta non è chiarissima, quel Réserve senza millesimo buttato lì, mi sa più di trovata che strizza l’occhio al commerciale che di concreta info per il “sempresialodato” consumatore.
Le bolle sono belle e fini, il colore è il giallo carico e pieno che ti aspetti, brillante, decisamente intenso. Il colore è appagante, infonde sicurezza, da subito.
Il naso è profumatissimo e delicato. Ci si perde tra i profumi che sai di trovare (pani e croste), ma ancor di più in note floreali che non ti aspetti. Per niente verdi, sono fiori colorati, odorosi, intensi. E poi quella fragranza di polpa bianca croccante, piacevolissima.
In bocca fila via liscio elegante e leggiadro, senza complicazioni. Freschezza da vendere, le bolle si presentano sulla lingua con forza garbata, allungando, se possibile, la sensazione tattile ben oltre l’ingresso.
Tutti i profumi del naso latitano tra le guance, dove è la citricità spiccata a farla da padrona, garantendo comunque una bevuta più che degna. Champagne, nient’altro che champagne … e dimmi poco.

Voto_7.5

AOC Crémant de Bourgogne BdB – La Cave des Hautes Côtes Beaune s.a.

Le bollicine sono un amore recente per l’indegno scriba (cit.). Solo negli ultimi 2 anni mi sono avvicinato con costanza e dedizione a questo mondo luccicoso e vastissimo. Ne sono assolutamente felice.
Scopro i metodi classici, quelli meno classici, i martinottistici, le rifermentazioni, i millenni sui lieviti, i dosaggi mistici, le sboccature e … a la volèeeeee.
E scopro anche che i francesi lo champagne che non fanno in Champagne lo chiamano Cremant (e vabbè).
L’esemplare in questione è uno chardonnay brut 100%, un bianco di bianchi, fatto bene, sofficioso, bevibilissimo, borgognotto.
Giallo di paglia fitta, presenta bolle di un certo calibro, di un certo spessore, non troppo numerose ma concentrate in gregge coerenti ed ordinati.
Al naso tanta pasticceria, dolcezze non stucchevoli ma riconoscibili, uno sbuffo agrumato interessante, che rende più complessa e soddisfacente l’annusata.
In bocca è davvero stuzzicante la sensazione tattile creata dalle bolle, soffici e rotolanti, che accompagnano un sorso forse un poco troppo scarico e magro, ma di certo fresco di acidità masticabile. Senz’altro un bicchiere onesto, facile, da trangugiare nelle ribollenti serate estive.
Voto_6.8

Un "Amarone" sulla sponda sinistra della Gironda di Daniele Tincati

VdT de France – Planquette – Didier Michaud s.a. (2003)
Due ettari di vigna, attorno a casa, sono il regno di Didier Michaud, vigneron di una delle maggiori zone mondiali dell’industria del vino: Bordeaux. Là dove esistono colossi da 400.000 bottiglie all’anno, vendute a prezzi esorbitanti en primeur, e tenute da oltre 100 ettari vitati, ci sono anche piccole realtà, cocciutamente attaccate a quei fazzoletti di terra, ereditati da generazioni, che varrebbero un patrimonio, se venduti ai grandi gruppi padroni dell’estuario della Gironda. Lui, Didier, e la moglie Catherine, si ostinano a produrre piccole quantità di vino in modo naturale, secondo i dettami dell’agricoltura biologica, andando ancora controcorrente. Il vino, l’unico, come vuole la tradizione, sosta a lungo nelle piccole botti di rovere, rigorosamente francese. Il tempo di sosta non è prefissato, Didier assaggia e dicide il momento dell’imbottigliamento, quando sente che il vino è pronto, normalmente dopo 18-20 mesi, ma capita, come nel 2003, che la sosta si sia prolungata sino a quasi 30 mesi. “Mi raccomando, aprilo almeno 2 ore prima e versalo nel decanter, ha bisogno di ossigenarsi” mi disse, e così ho fatto. Versandolo nel bicchiere colpisce il riflesso brillante di luce rubino, un rubino profondissimo, sanguigno, con riflessi porpora, quasi fosse un lambruscone reggiano. Scivola lentamente nel bicchiere, lasciando le pareti colorate, e gli archetti si fanno attendere per poi scendere fittissimi, lentamente, a più riprese. Al naso ecco quella ciliegia matura e sotto spirito, che ricorda molto la Valpollicella, e le note eteree, unite al cioccolato che fondendosi, portano all’inconfondibile profumo dei boeri. Poi, a seguire, note balsamiche, caffè, speziature dolci e piccanti. Il sorso è consistente, debordante, ma sorprendentemente fresco ed invitante. I tannini sono setosi e fittissimi, di grande qualità. La persistenza ricorda il lento scivolare del vino sul bicchiere, colorata come lui, da quei profumi già trovati in precedenza. Il richiamo và dritto ad un assaggio recente, ben fisso nella memoria, un ottimo Amarone di Michele Castellani, proprio annata 2003. Le differenze sono poche, forse qualcosa sulla morbidezza, a favore dell’ultimo, ma mi sbilancerei nel dire che il vino di Didier sarà più longevo perchè decisamente fresco. E pensare che ha dovuto stampare un’etichetta apposita, visto che le ristrettezze del disciplinare e gli ispettori dell’INAO, non gli hanno consentito di utilizzare il nome Chateau Planquette e la denominazione Medoc, forse per via di quel 15% di alcol che da noi è ormai all’ordine del giorno. Ma, con i 13 euro che ho speso, in Valpollicella ci compravo un Ripasso mediocre, Didier mi ha regalato un autentico “Amarone” del Medoc.
Daniele è un amico, una Umana Enciclopedia Enologica d’Oltralpe, un sommelier. Lo ringrazio per aver messo nero su bianco per me, uno dei suoi tanti, forse troppi, assaggi.

AOC Champagne Grand Cru Cramant BdB – B. Mallol Gantois 2002

Estremista: chi assolutizza un concetto, una dottrina (def.).
Questo champagne estremizza il concetto di acidità, poche parole. Millesimo 2002, quasi 10 anni dalla vendemmia, non fa una minima piega. Freschezza, acidità, succulenza estrinseca, sbordacciamento, chiamatela come volete, ma in questo bicchiere giallo come l’oro consumato c’è l’estrema sintesi della salivazione da godimento.
Il colore è prezioso, luccica.
Il naso è per chi non cerca una soluzione facile. Le sensazioni sono cotte, intense, dense, escono dal calice disordinate e scorbutiche. Quasi si mettono a scherzare con un naso poco abituato (come il mio), e tu quasi ci credi che c’è qualcosa che non va. Poi, sul finale, mentre porti via i naricioni dal bordo, il saluto è elegantissimo, affascinante, lunghissimo, come uno scialle. Allora ritorni, riannusi, respiri il latte sporco di cioccolata, la nocciola pestata e ti convinci che si, questo è un gran bel vino. Difficile, ma un gran bel vino.
Che poi ti tocca anche berlo. Fulmini e saette attraversano la lingua. Freschezza torrenziale, mineralità millimetrica, grazia agrumata. Sorprende uno strano senso di sofficità fra tutti quegli spigoli, dovuto quasi certamente ad un perlage finissimo e calibrato.
Uno champagne estremo, un vino buono per davvero, che si lascia bere, portafoglio permettendo, a secchiate.

Voto_8.6